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Paura del buio


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La paura del buio viene manifestata dai bambini, ma anche dagli adulti.

La paura del buio è legata all’angoscia che si prova pensando a quello che potrebbe accadere nell’oscurità. Si immaginano aggressioni, rapimenti, situazioni violente, ecc..

Tale paura riguarda tutti i tipi di ambiente dove vi sia buio, non solo esterni o sconosciuti, ma anche familiari come la propria casa e la  propria camera da letto.

Questa paura può diventare una fobia. In tale caso di fronte al buio il soggetto manifesta  sudorazione eccessiva, battito cardiaco accelerato, nausea, difficoltà a respirare, parlare o pensare, sensazione di svenire, angoscia, paura di morire. I bambini possono reagire con pianti disperati, incubi, difficoltà ad addormentarsi, insonnia.

Nel caso dei bambini, la paura del buio si sviluppa per diverse motivazioni. Il bambino sta attraversando un momento particolare della crescita, ha vissuto, direttamente o indirettamente, un evento traumatico, può essere stato esposto a programmi vietati ai minori.

Per aiutarlo non è opportuno obbligarlo a stare al buio, facendolo soffrire e precipitandolo nell’angoscia. Il genitore deve sostenerlo cercando di incoraggiarlo, accettando di stare un po’ con lui nella camera finchè non si addormenta, mettendogli una lucina sul comodino, raccontandogli storie dove i personaggi vincono il buio, ecc.. Se tale disagio si prolunga nel tempo è bene valutare di iniziare un percorso psicologico. Attraverso un sostegno psicologico al bambino, insieme a dei colloqui con i genitori, egli potrà superare la paura del buio. Si capirà quali saranno le motivazioni nascoste. In questo modo il bambino verrà stimolato ad utilizzare le proprie risorse per reagire e contrastare le proprie paure.

Nel caso degli adulti vi è la consapevolezza che le proprie paure sono eccessive, ma nonostante ciò il soggetto non riesce a farvi fronte.

Anche l’adulto, se si rende conto che tali sintomi si prolungano nel tempo e diventano sempre più invalidanti per la propria vita, può rivolgersi a uno psicologo. Attraverso un supporto psicologico potrà fare un lavoro su se stesso per capire quali sono le vere motivazioni legate alla propria fobia. Alle spalle vi può essere un trauma del passato che si è riattivato in seguito ad eventi particolari. Oppure può  aver subito di recente un’aggressione , una violenza o stare vivendo un momento difficile della propria vita.

Il terapeuta aiuterà il soggetto a prendere contatto con i propri vissuti, per affrontare le angosce senza esserne più sopraffatto. Sparira' così il fantasma del buio.

Disturbo ossessivo compulsivo


 

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Il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato da ossessioni e compulsioni che interferiscono con le attività lavorative, scolastiche e sociali della persona. Nei casi più gravi impediscono al soggetto di avere una vita normale.

 Le ossessioni sono dei pensieri, delle immagini, ricorrenti e persistenti che assillano la mente dell’individuo. Esse causano ansia, disagio e senso di colpa. Il contenuto di tali ossessioni riguarda diversi ambiti. Il soggetto può essere ossessionato dall’idea di entrare in contatto con germi, ambienti sporchi, avere dubbi sulla fedeltà del proprio partner, sul proprio orientamento sessuale. Vi può essere la paura di causare danni alla salute propria e dei familiari, di provocare delle catastrofi in ambito lavorativo. Oppure si teme di perdere il controllo, di diventare violenti, di commettere atti osceni e perversi.

Le compulsioni sono dei comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, pulire, ecc.) o azioni mentali (pregare, contare, ripetere parole nella mente, ecc.) che la persona non può fare a meno di compiere secondo schemi estremamente rigidi.

Nella maggior parte dei casi ossessioni e compulsioni sono entrambe presenti. Più raramente il soggetto presenta solo ossessioni o solo compulsioni.

Il disturbo ossessivo compulsivo può riguardare sia bambini che adulti. Nella maggior parte dei casi si presenta in età giovanile, tra i 15 e i 25 anni d’età.

Il soggetto, pur essendo consapevole che le ossessioni e le compulsioni sono irrazionali, non riesce a liberarsene.

L’ambiente familiare ha un’influenza importante nel portare un individuo a sviluppare tale disturbo. Il soggetto che ne soffre ha ricevuto spesso un’educazione rigida e severa. Oppure è stato responsabilizzato precocemente ed eccessivamente. In altri casi, nella famiglia è presente una persona con un disturbo ossessivo compulsivo. Essa ha avuto con il soggetto un’interazione significativa fin da quando era bambino trasmettendogli, inconsapevolmente, le proprie ansie e angosce.

Il disturbo ossessivo compulsivo tende a cronicizzare. Pertanto non deve essere sottovalutato ma richiede un intervento  in cui vi sia una psicoterapia associata, nei casi più gravi, a un trattamento farmacologico a cura di uno psichiatra.

Esistono differenti approcci di psicoterapia. Il soggetto deve individuare quello che ritiene più vicino al suo modo di essere.

Nella terapia condotta dalla dottoressa Pappalardo il paziente viene stimolato a riflettere sulle situazioni familiari che lo hanno portato a sviluppare  questo disturbo. Ciò non significa colpevolizzare i familiari perchè non era certo loro intenzione scatenare tale disagio. Riflettere sull’origine è però il primo passo. Il soggetto viene stimolato a comprendere i meccanismi interni che egli attua quotidianamente in modo dannoso per sè e per i propri cari. Infatti, chi vive accanto ad una persona con un disturbo ossessivo compulsivo si trova obbligato ad assecondare i suoi rituali e le sue ossessioni.

Nella terapia si lavora poi sulla quotidianità per aiutare il soggetto ad affrontare ansie e angosce.

In questo modo egli sente di non essere solo, ma sostenuto per contrastare, ridurre e attenuare le proprie ossessioni e compulsioni.

 

Acrofobia


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Acrofobia è un parola che deriva dal greco e letteralmente significa “paura della cima, della sommità”.

L’acrofobia è infatti la paura delle altezze e dei luoghi elevati. Il soggetto manifesta un disagio fortissimo quando si trova in un luogo elevato. La paura si associa a sintomi fisici come difficoltà a respirare, sudorazione, tachicardia. L’angoscia che il soggetto prova gli rende impossibile permanere nel luogo elevato o anche solo avvicinarvisi. Anche solo immaginare di trovarsi in una situazione del genere crea ansia al soggetto.

La persona che soffre di acrofobia teme di andare su piani alti di edifici, ponti, cime di montagne, balconi. Ha paura di utilizzare mezzi che portano rapidamente verso l’alto come ascensori panoramici, funivie, montagne russe, ecc..

Può manifestare elevati livelli di ansia prestazionale sul lavoro, a scuola, in famiglia, con gli amici.

Non è raro che la persona possa fare anche il sogno ricorrente di cadere nel vuoto. Si tratta di un incubo da cui si risveglia con molta ansia.

L’acrofobia può associarsi ad altre fobie o essere presente in una persona con un disturbo di personalità di tipo ossessivo compulsivo. 

Le motivazioni che portano a sviluppare acrofobia sono differenti così come le strategie a cui è possibile ricorrere per farvi fronte.

Se la fobia crea molto disagio e il soggetto non riesce a superare questo problema può intraprendere un percorso di psicoterapia. Esistono molte terapie che si concentrano sul sintomo e la sua risoluzione.

Chi invece vuole comprendere maggiormente le motivazioni all’origine dell’acrofobia può scegliere di fare un lavoro introspettivo. Richiede più tempo e più impegno, ma può portare benefici a lungo termine sulla persona. Naturalmente deve rappresentare una scelta consapevole e non forzata.

La dottoressa Pappalardo offe la possibilità di riflettere su quali siano le situazioni, i condizionamenti che possono avere portato la persona a manifestare la paura delle altezze in misura così intensa. Può esserci una preoccupazione, un disagio recente o essere legata a esperienze passate, all’ambiente familiare. Focalizzarsi sulle motivazioni è il primo passo. Successivamente il soggetto viene incoraggiato, stimolato a superare dinamiche  e situazioni che lo imprigionano.  Egli può così  ritrovare un senso libertà senza paura di precipitare nel vuoto.

Paura di stare in coppia


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Siamo nati per stare in coppia o per stare soli? A giudicare dal numero dei single, uomini e donne, sembrerebbe che vi sia una difficoltà crescente nel costruire un legame affettivo.

La paura di stare in coppia appare la malattia sentimentale del nuovo millennio.

C’è chi definisce l’essere single “una scelta”, “una fortuna”, ma, se guardiamo bene ogni situazione, essere soli si lega sempre a delusione e paura.

Spesso alle spalle vi può essere stata una storia importante che ha fatto soffrire profondamente. E’ come se la persona costruisse degli anticorpi emotivi per non legarsi più a nessuno. Solo l’idea di provare lo stesso senso di abbandono precipita nell’ansia e nell’angoscia.

Non si teme solo l’abbandono, ma anche di perdere la propria individualità, i propri spazi. Può esservi stata alle spalle un’esperienza reale di un partner o una partner a cui si era sottomessi e per timore di non avere, ancora una volta, la capacità di costruire un rapporto paritario si fugge da qualsiasi possibile relazione.

La paura di stare in coppia è legata quindi anche al rifiuto di condividere, all’ incapacità di donarsi per timore che altri prendano il controllo della propria vita. Al primo posto "ci sono Io" e questo non deve cambiare.

Il problema è che in questo modo il proprio Ego occupa tutto lo spazio e nessuno ci si può avvicinare.

Il destino di tale scelta è , inevitabilmente, la solitudine.

Ed è proprio il dolore, la stanchezza dell’aridità sentimentale a spingere a impegnarsi per superare questo stato di cose.

Un percorso terapeutico può aiutare ad affrontare le proprie paure, a riflettere su come a volte si tenda a vedere la realtà con una visione distorta come alibi, per non rischiare di soffrire.

Così si cerca l’uomo o la donna senza difetti e si ritiene che prima o poi si incontrerà la persona giusta.

Un lavoro psicologico porta anche a riflettere su quali siano i modelli relazionali assimilati dai propri genitori.

Su come alle volte si cerchi un partner che deve rispecchiare, o al contrario per reazione avversa non avere per nulla, una o più caratteristiche del genitore.

Oppure non si può realizzare l’unione con nessun partner perchè l’unico amore vero è rappresentato dal genitore. Così si cercherà per tutta la vita un amore che non si troverà mai. Da qui la preferenza per flirt, storie superficiali che non portano a costruire nulla.

La paura di stare in coppia è legata anche al rifiuto di assumere un ruolo adulto. Ci si vuole tenere lontano dalle responsabilità che derivano dalla costruzione di una famiglia, dal mettere al mondo dei figli.

Se la persona è disposta a sciogliere le emozioni congelate dentro di sè puo’ iniziare a lasciarsi andare a scoprire che una relazione, anche se mai perfetta, potrà portare a vivere meglio. A completarsi, a crescere, a trovare stimoli, comprensione, vicinanza emotiva ed affettiva.

Mettersi in gioco può essere un rischio, a voi la scelta di giudicare se ne vale la pena…